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Basilicata terra di tartufi

Basilicata terra di tartufi. Questo è il risultato del convegno tenuto a Corleto Perticara (PZ) il trenta giugno. Convegno che ha voluto ribadire la necessità della ricerca e della conoscenza delle eccellenze gastronomiche che danno valore a questa nostra piccola ma grande Regione. Non esiste una particolare tradizione gastronomica del tartufo, ma può rappresentare una risorsa per la piccola economia delle zone interne montane.
Nelle aree interne, sia collinari che montane, si trovano abbondantemente i tartufi chiamati scorzone estivo, il bianchetto e quello invernale. Nelle zone più umide non è difficile trovare il bianco pregiato. La valorizzazione di questo tubero potrebbe essere un veicolo di conoscenza dell’intero territorio. >> Ricette al tartufo lucano
Non è iniziata cosi la fortuna di una cittadina come Alba in Piemonte?
Giacomo Morra, albergatore e ristoratore di Alba, intuì la possibilità di rendere il Tartufo un oggetto di culto a livello internazionale dandogli un nome "Tartufo d’Alba" e collegandolo a un evento di richiamo turistico ed enogastronomico. Nel 1949 ebbe la brillante idea di regalare il miglior esemplare, raccolto quell’anno, alla famosissima attrice Rita Haywort, ottenendo un grande clamore mediatico.

Quell’episodio non restò isolato, da allora in poi,quasi tutti gli anni, i preziosi tartufi vengono spediti a personaggi di rilievo internazionale. Al Presidente degli Stati Uniti Harry Truman nel 1951, a Winston Churchill nel 1953, alla coppia Joe Di Maggio e Marylin Monroe nel 1954, ne assaggiò il sapore l’Imperatore d’Etiopia Hailè Selassiè nel 1955, il Presidente degli Usa Eisenhover e il russo Nikita Krusciov nel 1959, Papa Paolo VI nel 1965.

Ercole Baldini campione di ciclismo, Sofia Loren, Alfred Hitchcock, l’equipaggio di "Azzurra", Papa Giovanni Paolo II, Ronald Reagan, Gianni Agnelli, Gorbaciov, Luciano Pavarotti, Valentino, il Principe Alberto di Monaco, Valeria Marini. Tutti diventano moltiplicatori d’eccezione, gratuitamente o quasi, che parlano un’unica lingua, l’unico sapore, l’unico profumo, il tartufo d’Alba. Marketing rurale? Forse, ma di sicuro vincente. Il tartufo, alimento antico, per l’intuizione di un solo ristoratore diventa veicolo promozionale di un intero territorio. Personaggi famosi diventano testimonial “moderni “ per un prodotto antico!

Dell’uso del tartufo si hanno notizie fin dal tempo degli antichi Sumeri, risalente al 3.500 a.C. che utilizzavano il tartufo mischiandolo ad altri vegetali quali orzo, ceci, lenticchie e senape.

Gli antichi abitanti di Atene sembra che adorassero talmente tanto il tartufo nella loro cucina che diedero la cittadinanza ai figli di Cherippo per aver inventato una nuova ricetta. I greci lo chiamavano Hydnon, da cui deriva il termine "idnologia" la scienza che si occupa dei tartufi. I latini lo chiamavano Tuber, dal verbo tumere, gonfiare, mentre per gli arabi era Tomer. Gli spagnoli Turma de tierra, gli inglesi Truffle, infine i tedeschi Truffel. I francesi Truffè che deriva da frode, collegato alla rappresentazione teatrale di Molière "Tartufe"del 1664.

Dall’antica Roma nell’Hostaria Naturale, Plinio il Vecchio (23-79 d.C.) ci narra la storia del pretore Licinio che si trovò nella situazione di emettere una sentenza che gli creava un enorme imbarazzo, un ricco cittadino chiedeva un risarcimento da una persona che gli aveva donato un tartufo che conteneva una moneta che gli si rivelò solo quando addentato il tartufo gli si spezzarono i denti incisivi. Il pretore, sicuramente amante del pregiato tubero, condannò al pagamento del tartufo da parte del ricco cittadino nella stessa misura del dente da parte del donatore di tartufo. L’opinione di Plinio era che il tartufo sta fra quelle cose che nascono ma non si possono seminare.

Plutarco (Grecia 46 d.C.) asseriva che il "Tubero" nasceva dall’azione combinata dell’acqua, del calore e dei fulmini. Naturalmente queste teorie erano condivise o contestate sia da Plinio, che da Marziale (40 - 104 d.C.) ed avevano come unico risultato lunghe discussioni e diatribe. Non essendo quindi stabilita l’origine dei tartufi da parte degli studiosi, le credenze popolari coprirono il tartufo di mistero al punto che non si sapeva definire se fosse una pianta o un animale. Da alcuni botanici dell’epoca venne definito come un’escrescenza degenerativa del terreno. Nel medioevo trovò una sua collocazione nei prodotti da inquisizione, era considerato cibo del diavolo o delle streghe e si credeva che contenesse veleni che portavano alla morte.

In un antico manoscritto "Pratica Medicinae" di Guainero si tratta, tra gli altri argomenti, gli avvelenamenti da funghi e tartufi e dopo aver descritto in modo dettagliato le sofferenze riportate dall’intossicazione, consiglia di far cuocere i funghi e quindi anche i tartufi con delle pere che secondo questa teoria avrebbero assorbito i veleni.
Di sicuro il risultato positivo che si può ottenere non è dovuto assolutamente all’azione delle pere, ma al semplice fatto che i funghi contengono sostanze tossiche termolabili, che ad una temperatura pari a 60-70 gradi centigradi vengono eliminati completamente. Un unico episodio nella storia del tartufo viene collegata ad una morte probabilmente dovuta più per congestione che per ingestione del tubero, riportata da un cronista del 1368 ".

Grande copia di trifole havendo manducato per modo di pane, volse con vini diversi donare refrigerio alle interiora, hautene un forte calore que lo addusse a trapasso" cosi ci descrive la morte di Plantageneto duca di Clarence, figlio di Edoardo III , giunto in visita ad Alba , dopo un abbondante banchetto comprendente tra le altre cose il tartufo. Il primo trattato unicamente dedicato al tartufo con il suo Opusculum de tuberibus, risale ad Alfonso Ciccarelli, medico umbro morto nel 1580. Anche se la medicina poneva dei distinguo nella nascita del tubero, diversamente procedeva invece la storia gastronomica del tartufo perché non c’era teoria scientifica che ne limitasse l’uso in cucina.

Alla corte di papa Gregorio IV se ne faceva largo uso, ufficialmente per compensare le energie spese nel fronteggiare i Saraceni. Il milanese Sant’Ambrogio ringraziava il vescovo di Como San Felice per la bontà dei tartufi ricevuti. Naturalmente c’é anche da aggiungere che i tartufi in questione non erano quelli neri per lo più utilizzati per farcire carni e pesci, ma i tartufi bianchi di cui se ne faceva un impiego massiccio.
Nella vecchia Europa il tartufo era anche chiamato aglio del ricco, per il suo leggero sentore agliaceo e naturalmente perchè se ne trovavano in abbondanza. Ma è in Piemonte che se ne fa un consumo rilevante intorno al 1600 ad imitazione della Francia. Nel 1700 il tartufo Piemontese era considerato presso tutte le Corti una delle cose più pregiate.

La ricerca del tartufo costituiva un divertimento di palazzo per cui gli ospiti e ambasciatori stranieri a Torino erano invitati ad assistervi. Da qui, sicuramente, nasce l’usanza dell’utilizzo di un animale elegante come il cane per la cerca al tartufo. Il sovrano Vittorio Amedeo II si divertiva, invitando gli ospiti stranieri, in vere e proprie battute di raccolta. Carlo Emanuele III racconta di un episodio che riguarda una spedizione alla ricerca di tartufi, avvenuta nel 1751, organizzata dalla Casa Reale in Inghilterra nel tentativo di far conoscere e apprezzare l’uso dei tartufi nella cucina britannica, con scarsi risultati. Furono trovati tartufi nel suolo inglese ma di valore estremamente inferiore a quelli piemontesi.

Il Conte Camillo Benso di Cavour, nell’arte della sua politica utilizzava il tartufo come dissuasore diplomatico. Ad onore della gioia che regalava al suo palato Gioacchino Rossini definiva il tartufo il Mozart dei funghi. Lord Byron lo teneva sulla scrivania perché il suo profumo gli destasse la creatività. Alexandre Dumas lo definiva il Sancta Santorum della tavola.

Federico Valicenti

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Chef
Consulente enogastronomico

Ristorante Luna Rossa
Via Marconi 18
Terranova del Pollino (PZ)

Tel. 0973 93254

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